martedì 9 gennaio 2018

Recensione "Gli sdraiati" di Michele Serra

Buongiorno a voi miei prodi. Oggi sono qui per portavi la mia opinione sulla mia ultima lettura terminata, ricevuta per Natale, Gli sdraiati di Michele Serra, da cui è stato tratto l'omonimo film con Claudio Bisio che è uscito nelle sale durante le feste (mi pare). È una recensione forse un po' inconcludente, in parte perché lo è anche il libro, o almeno così l'ho percepito io.


"Gli sdraiati"
di Michele Serra


Editore: Feltrinelli
€12,00 · 112 p.
Genere: fiction, narrativa italiana
Trama: Forse sono di là, forse sono altrove. In genere dormono quando il resto del mondo è sveglio, e vegliano quando il resto del mondo sta dormendo. Sono gli sdraiati. I figli adolescenti, i figli già ragazzi. Michele Serra si inoltra in quel mondo misterioso. Non risparmia niente ai figli, niente ai padri. Racconta l’estraneità, i conflitti, le occasioni perdute, il montare del senso di colpa, il formicolare di un’ostilità che nessuna saggezza riesce a placare. Quando è successo? Come è successo? Dove ci siamo persi? E basterà, per ritrovarci, il disperato, patetico invito che il padre reitera al figlio per una passeggiata in montagna? Fra burrasche psichiche, satira sociale, orgogliose impennate di relativismo etico, il racconto affonda nel mondo ignoto dei figli e in quello almeno altrettanto ignoto dei “dopopadri”. Gli sdraiati è un romanzo comico, un romanzo di avventure, una storia di rabbia, amore e malinconia. Ed è anche il piccolo monumento a una generazione che si è allungata orizzontalmente nel mondo, e forse da quella posizione riesce a vedere cose che gli “eretti” non vedono più, non vedono ancora, hanno smesso di vedere.



Recensione


Non è certo facile parlare di questo libro, corto, ma di sicuro impegnativo da leggere. Parla, nella sua semplicità, di un padre alle prese con un figlio adolescente, dai suoi diciassette fino ai diciannove anni. In realtà non è una storia con dialoghi, vicende di particolare importanza e narrate in modo classico, ma tanti capitoli di riflessione interiore che il genitore compie osservando il ragazzo e i suoi coetanei, senza capirne i comportamenti, sentendosi escluso dalla sua vita.

Vorrebbe anche solamente comprendere il mondo del figlio, fatto di dormite fino alle tre del pomeriggio, ritorni alle quattro di mattina, silenzi insormontabili e pigrizia continua. Invece, ne rimane fuori, in disparte, a guardare parte del suo sangue compiere azioni a lui inspiegabili.
Vorrebbe portare l'adolescente nel suo posto preferito, raggiungibile dopo ore di camminata in alta montagna, al Colle della Nasca. All'inizio è solamente un desiderio lontano che non ha il coraggio di proporre, ma che poi, con il passare del tempo, diventa un'esigenza.

Sono giunta al termine con tante domande, più di quelle che avevo all'inizio. Confusa, un po' assonnata, ma compiaciuta per il finale e per averlo finito, soprattutto.
I capitoli di questo libro sono sconnessi tra loro, tanti episodi, alcuni poco rilevanti, altri davvero inutili. Ragionamenti, pensieri e asprissime critiche al mondo adolescenziale moderno, al consumismo e alla vita in generale. Per alcuni tratti è davvero divertente, in altri passaggi di una noia mortale. Alcune critiche sono sensate, vere, sentite da me lettrice, altre campate un po' per aria, ma con sempre qualche spunto interessante.

Non è certo una lettura facile, come ho detto all'inizio, proprio perché è come una lunga lettera al figlio, un'infinità di pensieri che non sempre sono leggeri, anzi più dei mattoni, non tanto per l'argomento trattato, ma per come viene esposto. La scrittura è volutamente pomposa, complessa, perciò lenta e soporifera.
Non so dire di per certo se questo libro mi sia piaciuto o meno. Alcuni capitoli sono esilaranti, davvero divertenti e se fossero stati tutti così sarebbe stato fantastico, invece, a volte, non riuscivo a procedere con la lettura, non mi coinvolgeva molto, non ci trovavo niente che mi spingesse a proseguire, perdevo l'attenzione facendomi distrarre da qualunque cosa. Di certo, questo non è uno di quei libri che ti tiene incollato alle pagine, ma nel complesso, non è nemmeno così traumaticamente noioso. È un grande boh.

Una bellissima scrittura, parole complesse, incredibili descrizioni del nulla che durano pagine e che sembrano non giungere mai a una conclusione, indiscutibile talento letterario che però qui viene un po' troppo esagerato, portato all'estremo, un po' sprecato forte.
A chi lo consiglio? A un pubblico adulto, più a un neo-adulto, ma che abbia la tendenza a leggere anche solamente qualche libro all'anno perché altrimenti non lo finirebbe mai. Una persona adulta, forse non capirebbe tutti i passaggi, alcuni rimandi che vengono fatti, ma forse potrebbe apprezzare altre cose, altri ragionamenti. Ma quindi, lo consiglio o no? Boh.

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