domenica 7 gennaio 2018

Recensione "Abbiamo sempre vissuto nel castello" di Shirley Jackson

Buongiorno lettori, ebbene sì sono tornata ufficialmente. Dopo il post di spiegazioni e scuse dell'altro giorno, presa dalla curiosità come ogni volta, mi sono immersa nella lettura di "Abbiamo sempre vissuto nel castello" di Shirley Jackson, un libro di cui avevo sentito parlare infinitamente bene e perciò come potevo non resistere?


"Abbiamo sempre vissuto nel castello"
di Shirley Jackson


Editore: Adelphi
€18,00 · 182 p.
Genere: horror, fiction, classici
Trama: «A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce»: con questa dedica si apre L'incendiaria di Stephen King. È infatti con toni sommessi e deliziosamente sardonici che la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i "brividi silenziosi e cumulativi" che - per usare le parole di un'ammiratrice, Dorothy Parker abbiamo provato leggendo La lotteria. Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male - un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai "cattivi", ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.


Recensione


Questa non è certo una lettura lunga, conta meno di duecento pagine, ma noi lettori sappiamo bene come lo spessore di un libro non vada a braccetto con la sua intensità. In queste poche righe Shirley Jackson ci immerge in un paesino di campagna, con protagonisti i Blackwood. All'incirca sei anni prima, la famiglia fu vittima di una terribile tragedia: furono tutti avvelenati durante una cena, sopravvissero solamente le due figlie minori e uno zio costretto in sedia a rotelle.
A seguito del processo e della scagionatura della maggiore delle sorelle, Constance, il paese non fu più in grado di andare avanti e continuò a provare odio e risentimento per la famiglia Blackwood, che anche prima dell'assassinio non era mai stata troppo amata. Constance non ebbe più il coraggio di uscire dal giardino di casa, cucinava, puliva ed assisteva il povero zio Julian in attesa che la morte portasse via anche lui. Chi procurava i viveri, chi portava a casa i libri della biblioteca e chi doveva subire le occhiate e i bisbigli dei compaesani era Mary Katherine, la sorella minore, occhi da cui noi vediamo svolgersi tutte le vicende. Lei non fu coinvolta nel processo come Constance, che fu la principale indiziata, Merricat se la cavò visto che quella sera, per sua fortuna, fu mandata a letto senza cena.

Il libro si apre con questo scenario poco idilliaco, con due sorelle schiacciate dalla tragedia che le vede le protagoniste sopravvissute, capi espiatori per gli abitanti del villaggio a cui della verità interessa davvero poco. Soggetti di risate, di occhiate storte e di invidia, perché nonostante tutto vivono ancora nella loro bellissima casa.
Nella triste monotonia, Mary Katherine e Constance trovano conforto nella routine, nelle piccole cose di ogni giorno. Un dì questo equilibrio viene interrotto bruscamente dall'arrivo del cugino Charles, che non solo metterà da parte Merricat, ma che si vorrà imporre a tutti i costi come nuovo padrone di casa.

Constance è divorata dal rimorso, i sensi di colpa le tarpato le ali, impedendole di vivere la vita in maniera normale, anche solo di arrivare in fondo al giardino. Si prende cura della famiglia rimasta come per autocommiserazione, per espiare ai propri peccati. Lo zio Julian si ritiene fortunato per essere sopravvissuto, vittima di demenza senile, ogni tanto ha dei bruschi ritorni al passato e vive la sue giornate tra il letto e la luce del sole, tentando di completare il suo libro sulla tragedia che ha colpito la famiglia.
Mary Katherine, all'inizio, sembra in assoluto la più normale dei tre. Va in paese, anche se controvoglia, controlla sempre che la casa sia al sicuro per la sorella, si assicura che lei stia bene e che non corra pericoli quando vengono estranei a fare loro visita, ecc. Eppure, sotto questo velo di protezione continua, si nasconde una ragazza che avrebbe all'incirca vent'anni (in realtà l'età esatta non ci viene mai rivelata, ma da come ragiona si percepisce che non è più troppo giovane), ma che continua a giocare come una bambina, che sotterra gli oggetti in modo che nessuno li possa trovare, che ha come unico vero amico il suo gatto Jonas e che sente il territorio pericolosamente invaso quando il cugino Charles entra nelle loro vite.

Questo è un libro fondamentalmente semplice che però vede, pagina dopo pagina, mille misteri e segreti venire a galla. Piccole pazzie e manie che i protagonisti nascondono, ma che li tengono aggrappati alla vita anche quando a loro non resta più niente in cui sperare. Il continuo pensiero al passato, a quella cena, ma di cui in realtà nessuno mai parla apertamente. È una storia di un lutto che non è mai stato del tutto superato, ma solamente accantonato. Il mistero su chi abbia davvero messo l'arsenico nello zucchero non è chiaro fino alla fine, perché tutti parlano della strage, ma nessuno per davvero.
L'ho trovata una lettura veloce, scorrevole e piacevole. A un certo punto, anche se il libro non ti prende completamente, sei comunque trascinato nello spaccato di campagna e costretto a saperne di più per la curiosità. Shirley Jackson parla di follia, di segreti famigliari, di una tragedia che ha segnato la vita di tutti, della cattiveria umana che, come dimostra, non ha mai fine e che deve sempre puntare il dito contro qualcuno. È una lettura malata perché tutti in questo romanzo sono malati, corrotti dal rimostro e dai sensi di colpa, dalla pazzia e dalla necessità di incriminare qualcuno per sentirsi meno colpevoli.
A chi ama il noir lo consiglio apertamente, anche ai non amanti del genere visto il suo spessore. Crudo e crudele, le parole che meglio descrivono l'esperienza di questo racconto.

2 commenti:

  1. devo assolutamente leggerlo!!

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  2. A me è piaciuto molto e spero che per te sia lo stesso!
    Fammi poi sapere come va, mi raccomando :)

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